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Paolo Veronese. Le quattro Allegorie ritrovate

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Nella seicentesca Sala delle Cacce Infernali si possono ammirare dopo secoli, quattro straordinarie tele di Paolo Veronese (Verona 1528- Venezia 1588). Grazie al recente ritrovamento delle due tele presso la Villa San Remigio a Pallanza (di proprietà della Regione Piemonte) ed al prestito eccezionale delle due conservate al Los Angeles County Museum of Art, è ricomposto il ciclo delle Allegorie, dipinto dal Maestro probabilmente per la Libreria Marciana di Venezia, intorno al 1557. Si tratta di tre figure maschili con strumenti per la misurazione della terra e del cielo, che rimandano alla scienza della navigazione ed alla matematica, e di una figura femminile simboleggiante La Scultura.Per l’occasione le due tele piemontesi sono state restaurate presso i laboratori del Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale” nell’ambito del progetto di recupero e valorizzazione Salva Italia dell’Arte e della Cultura. 

Il Cinquecento a Ferrara. Mazzolino, Ortolano, Garofalo, Dosso

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La mostra Il Cinquecento a Ferrara. Mazzolino, Ortolano, Garofalo, Dosso costituisce la seconda tappa di una più ampia e ambiziosa indagine del tessuto culturale e artistico intitolata Rinascimento a Ferrara. 1471-1598 da Borso ad Alfonso II d’Este, vale a dire la stagione compresa tra l’elevazione della città a ducato (1471) e il suo passaggio dalla dinastia estense al diretto controllo dello Stato Pontificio (1598). Gli altri momenti del percorso, idealmente inaugurato dalla mostra Cosmè Tura e Francesco del Cossa. L’arte a Ferrara nell’età di Borso d’Este (Palazzo dei Diamanti, 23 settembre 2007 – 6 gennaio 2008) e proseguito con quella intitolata Rinascimento a Ferrara. Ercole de’ Roberti e Lorenzo Costa (Palazzo dei Diamanti, 18 febbraio – 19 giugno 2023), saranno dedicati ad artisti come Girolamo da Carpi, Bastarolo, Bastianino e Scarsellino. Questa seconda tappa del progetto racconta le vicende della pittura del primo Cinquecento a Ferrara, dagli anni del passaggio di consegne da Ercole I d’Este al figlio Alfonso (1505), fino alla scomparsa di quest’ultimo (1534), committente raffinato e di grandi ambizioni, capace di rinnovare gli spazi privati della corte come quelli pubblici della città. Il tramonto della generazione di Cosmè Tura, Francesco del Cossa ed Ercole de’ Roberti lascia a Ferrara la difficile eredità di un ricambio artistico di alto livello. Nel 1496 la scelta di ingaggiare a corte Boccaccio Boccaccino indica la volontà di adottare un linguaggio più moderno, addolcito e morbido. All’inizio del nuovo secolo si sviluppa una nuova scuola, meno endemica e più aperta agli scambi con altri centri, che ha come protagonisti Ludovico Mazzolino, Giovan Battista Benvenuti detto l’Ortolano, Benvenuto Tisi detto il Garofalo e Giovanni Luteri detto il Dosso. I nomi di Garofalo e Dosso sono i più noti al pubblico, e il loro percorso è stato approfondito in maniera organica in diverse occasioni (anche nella stessa Ferrara nelle mostre Garofalo pittore della Ferrara estense del 2008 e Dosso Dossi. Pittore di corte a Ferrara nel Rinascimento del 1998). Per Mazzolino e Ortolano si tratta invece di un debutto assoluto, necessario per illustrare compiutamente e comprendere meglio il variegato panorama della pittura ferrarese dei primi decenni del XVI secolo. Nati a Ferrara negli stessi anni, i due maestri percorrono strade piuttosto diverse: Ludovico Mazzolino (c. 1480 – c. 1528), formatosi sui modelli di Ercole de’ Roberti e del primo Lorenzo Costa, orienta il suo linguaggio in senso anticlassico, guardando alla pittura tedesca, da Albrecht Dürer a Martin Schongauer. Nonostante dimostri di conoscere Boccaccino e la pittura veneziana, nonché Raffaello e la cultura antica, la sua arte è sempre animata da accenti visionari e da una vitalità rumorosa che lo pone a buon diritto tra gli “eccentrici” attivi nell’Italia settentrionale. Si specializza in quadri di piccolo formato d’impeccabile fattura – destinati al collezionismo privato e a personaggi gravitanti attorno alla corte – raffiguranti scene gremite di personaggi dai tratti fisionomici caricati, quasi grotteschi, del tutto insofferenti agli ideali di grazia ed equilibrio predicati da Perugino e dai suoi seguaci. L’estro bizzarro di Mazzolino nel contesto artistico ferrarese d’inizio Cinquecento spicca con evidenza ancora maggiore quando lo si confronta con l’atteggiamento di Giovan Battista Benvenuti detto l’Ortolano (1480/85 – c. 1530), sempre caratterizzato invece da un naturalismo convinto e sincero. Dopo l’esordio influenzato dai modi dolci di Boccaccino, Costa e Francia, Ortolano si orienta dapprima verso la cultura veneziana di Giorgione per poi avvicinarsi alle novità proposte da Raffaello. Veri e propri capolavori, connotati da «classicismo […] naturalizzato per via del lume illusionistico» (Longhi), sono le grandi pale eseguite nel corso del terzo decennio: le due Deposizioni del Museo di Capodimonte e della Galleria Borghese, il San Sebastiano tra i santi Rocco e Demetrio della National Gallery, la Natività della Galleria Doria Pamphilj. Contestualmente produce numerosi quadri destinati alla devozione privata, dove l’ispirazione raffaellesca si accende di suggestioni venete, evidenti soprattutto nella resa del paesaggio. Impossibile non rimanere incantati dalla spontaneità con cui l’artista si approccia alla realtà. Una luce chiara isola i personaggi e indugia silenziosa sugli oggetti; nella (apparente) semplicità delle composizioni si avverte il senso dell’arcano. Tra i riferimenti dell’Ortolano figura certamente Benvenuto Tisi detto il Garofalo (1481 – 1559). Formatosi presso Domenico Panetti e Boccaccino, dimostra fin da giovane una grande intelligenza figurativa, che gli consente di misurarsi tempestivamente con tutte le novità che andavano affiorando nei maggiori centri della penisola. Durante il primo decennio del Cinquecento si accosta alla pittura veneziana e a Giorgione, per poi spostare il baricentro dei propri interessi verso l’Italia centrale. Nel corso della sua lunga carriera, Garofalo è il principale interprete e divulgatore ferrarese dello stile di Raffaello, di cui comprende perfettamente la portata e di cui segue lo svolgimento con attenta diligenza. Le sue pale d’altare, dalla maniera pacata ed elegante, popolano le chiese cittadine, mentre i preziosi dipinti da cavalletto sono presenti in gran numero nelle collezioni private. Parallelamente a Garofalo si muove Giovanni Luteri, detto il Dosso (c. 1486 – 1542), uno degli artisti di punta della corte di Ferrara sotto i governi di Alfonso I e di Ercole II d’Este. Nato nel piccolo ducato di Mirandola, esordisce a Mantova e nel 1513 si trasferisce a Ferrara dove lavora (proprio accanto a Garofalo) al celebre polittico Costabili nella chiesa di Sant’Andrea (oggi alla Pinacoteca Nazionale). Durante la giovinezza la sua pittura risente dell’influenza di Giorgione e Tiziano, dai quali trae una magnifica profondità di colore e una luce tutta veneziana. All’epoca della sua prima opera sicuramente datata, la splendida Madonna col Bambino in gloria e santi per il duomo di Modena (1521), è già avvenuto un contatto con Michelangelo e la cultura romana: da qui in poi Dosso sviluppa uno stile personale, colto e divertito, grazie anche a una particolare sintonia con Alfonso d’Este. Se Garofalo monopolizza le commissioni ecclesiastiche, Dosso è padrone del campo delle commissioni ducali, in cui affronta temi allegorici e mitologici, desunti spesso dall’Ariosto. La scena della pittura cittadina non sarebbe infine completa senza artisti come il compunto Domenico Panetti, o il soave e misterioso Maestro dell’elevazione della Maddalena, o ancora il misurato Nicolò Pisano. Grazie al contributo di questi pittori, anch’essi presenti nel percorso espositivo, che comprenderà anche importanti opere esposte stabilmente nelle sale della Pinacoteca Nazionale al piano nobile di Palazzo dei Diamanti, la mostra accompagnerà il visitatore attraverso una stagione incredibilmente ricca, dove l’antico e il moderno, il sacro e il profano, la storia e la fiaba si fondono in un mondo figurativo che può definirsi, in una parola, ferrarese.

Federico Barocci Urbino. L’emozione della pittura moderna

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Si intitola semplicemente “Federico Barocci Urbino. L’emozione della pittura moderna” la mostra monografica che per oltre quattro mesi – dal 20 giugno fino al 6 ottobre 2024 - si potrà ammirare nei sontuosi spazi di Palazzo Ducale.Curata da Luigi Gallo (Direttore della Galleria delle Marche) e Anna Maria Ambrosini Massari (Docente di Storia dell’Arte moderna all’Università di Urbino), con Luca Baroni e Giovanni Russo, la mostra porta per la prima volta a Urbino le opere di uno dei suoi figli più illustri: Federico Barocci (1533-1612).Pittore, straordinario disegnatore e innovativo incisore, per quasi un secolo Barocci segna la scena artistica italiana ed europea. Nonostante la scelta, inconsueta all’epoca, di restare nella sua città natale, lontana dai grandi centri culturali e mecenatistici, egli riesce a imporsi con tenace fatica come il più ammirato, richiesto e pagato autore di dipinti sacri della seconda metà del ’500.Grazie a un insieme di prestiti provenienti da principali musei nazionali e internazionali che arricchiscono la collezione già molto importante della Galleria Nazionale delle Marche, la mostra, di taglio monografico, raccoglie 76 tra dipinti e disegni di Barocci, illustrando tutte le fasi della sua lunga carriera.Inoltre, per la prima volta, il percorso artistico del maestro urbinate viene presentato secondo un ordinamento tematico, volto ad approfondire le peculiarità della sua produzione inserendola nel contesto della grande arte del Cinquecento e del Seicento.«Per la prima volta in Urbino – dice il Direttore Gallo -, un’ampia mostra monografica illustrerà l’opera di uno dei massimi pittori italiani: Federico Barocci. L’inconsueta scelta dell’artista di restare nella città natale, pur avendo conosciuto i centri maggiori dell’arte italiana, e in particolare Roma, non gli impedì di diventare famosissimo e ottenere importanti committenze da tutta Italia e non solo. Articolata in sezioni tematiche, la mostra ospiterà eccezionali capolavori provenienti dai musei di tutto il mondo e sarà impreziosita da un ampio focus sui disegni dell’artista che dimostreranno lo studio lungo e accurato che precedeva la realizzazione di ogni sua opera». La mostra si articola in sei nuclei narrativi, declinati secondo un ordinamento che lega la successione temporale dell’opera di Barocci ad una presentazione diacronica organizzata seguendo i diversi temi della sua pittura.Si partirà nella prima sala dalla disamina del contesto culturale in cui l’artista si forma e lavora, analizzato tramite l’Autoritratto giovanile e l’Autoritratto senile (Firenze, Galleria Palatina), i ritratti dei personaggi più rappresentativi della corte e del suo principale committente cui è legato da un intimo rapporto di amicizia, il duca Francesco Maria II Della Rovere (Firenze, Galleria Palatina). Qui saranno presentati i capolavori della ritrattistica baroccesca insieme al magnifico dipinto La Madonna della gatta (Firenze, Uffizi), realizzato per il duca, in cui il profilo del Palazzo Ducale cristallizza il legame del pittore con la sua città natale.Nella seconda sala si affronterà il tema della composizione delle grandi pale d’altare realizzate con innovativi effetti di notturno che rivoluzionano la tradizione cinquecentesca con gli inediti bagliori cromatici che accompagnano alcuni capolavori, come la maestosa Deposizioneeseguita per la cattedrale di San Lorenzo di Perugia, la Madonna di San Simone della Galleria Nazionale delle Marche o le due straordinarie realizzazioni romane come la Visitazione alla Chiesa Nuova (che torna per la prima volta a Urbino dal 1609 quando Barocci la inviò a Roma) e l’Istituzione dell’Eucarestia alla Minerva.La terza sala è dedicata al tema degli affetti, della natura e delle emozioni con i dipinti di piccola dimensione destinati alla devozione privata in cui più evidenti risultano i ragionamenti di Barocci sulle intime relazioni fra i personaggi ed il loro rapporto con una natura intrisa di sentimento. Qui saranno presentati i magnifici Cristo appare alla Maddalena (Firenze, Uffizi), in cui il profilo di Urbino porta le scena sacra nell’ambito familiare della capitale feltresca, la Madonna delle Ciliegie(Pinacoteca Vaticana), dove il dolcissimo paesaggio primaverile accoglie la rappresentazione dell’amore familiare, la Sacra Famiglia del gatto(National Gallery di Londra), in cui i protagonisti sono rappresentati in una sala che richiama gli ambienti del palazzo urbinate, la Madonna di San Giovanni (Galleria Nazionale delle Marche), dipinto dopo il ritorno da Roma come ex voto per la guarigione, la Natività (Museo del Prado di Madrid) e ancora i magnifici San Girolamo penitente e San Francesco, rispettivamente dalla Galleria Borghese e dal Metropolitan di New York, in cui personaggi appaiono estatici in un paesaggio struggente.La quarta sala sarà dedicata alla grafica di Barocci, con una scelta significativa di disegni, cartoni, incisioni provenienti dalle maggiori raccolte nazionali e internazionali.Nella quinta sala sarà possibile ammirare le composizioni dalla loro fase preparatoria all’opera finita, saranno presenti l’Annunciazione conservata in Vaticano, esposta vicino a diversi fogli elaborati per la sua realizzazione, la straordinaria Fuga di Enea da Troia(Roma, Galleria Borghese), affiancata al cartone preparatorio conservato al Louvre, l’unica opera a tema mitologico di Barocci, in cui gli elementi ereditati dalla tradizione raffaellesca sono riletti con un nuovo pathos che ispira il ragionamento che sul dipinto fece Bernini e infine la Deposizione di Senigallia, che dal 1608 – anno della fine dell’intervento di ‘restauro’ operato dallo stesso Barocci – torna a Urbino, con accanto il suo bozzetto preparatorio conservato al museo.Nella sesta sala saranno presentate le ultime opere del pittore risalenti al primo decennio del Seicento, nelle quali il colore diventa pura emozione cromatica anticipando alcune soluzioni che contraddistinguono l’arte barocca: fra queste la Beata Michelina(Pinacoteca Vaticana), la Madonna del Rosario (Senigallia), l’Assunzione della Vergine (Galleria Nazionale delle Marche), e la Presentazione della Vergine al Tempio (Roma, Chiesa Nuova). L’arte di Barocci continuerà nell’appartamento roveresco del secondo piano dove il Palazzo Ducale vanta il numero di opere più consistente della sua produzione sacra: l’Immacolata concezione, la Crocifissione con i dolenti, San Francesco riceve le stigmate, la derivazione dal Perdono di Assisi e le due opere in deposito dalla Pinacoteca di Brera alla Galleria Nazionale delle Marche, ovvero la Madonna col Bambino in gloria con i Santi Giovanni Battista e Francesco e l’Ecce Homo finita dall’allievo Ventura Mazza. Inaugurazione: 20.06.2024 ore 11

Claudia Peill. Oltre il presente. Archeologia del domani

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Claudia Peill, opera sul crinale tra pittura e fotografia restituendoci sguardi urbani in cui l’antico si fonde e confonde con il contesto industriale della città, in questo caso Roma. Claudia Peill lavora costantemente sull’idea del doppio usando a pari livello tanto la pittura quanto la fotografia in uno stato costante di inganno percettivo. I diversi livelli dell’immagine fotografica elaborata in digitale, che rimanda a un luogo preciso estrapolandone frammenti di realtà, vengono restituiti al pubblico come forme decontestualizzate e pertanto difficilmente ricollocabili. A queste fanno da contraltare le stratificazioni pittoriche costituite da sovrapposizioni cromatiche, pause silenziose che completano la narrativa dell’immagine fotografica.Prendendo una frase di Rudolf Arnheim “…il presente è pieno di materia tangibile, il remoto futuro ancora vuoto” (Visual Thinking, 1969) potremmo affermare che la fotografia è usata da Peill per fissare l’archeologia del presente, mentre alla pittura l’artista dà il compito di rappresentare il futuro fatto di vuoti ancora da riempire.La mostra è a cura di Giorgia Calò ed è accompagnata dal libro monografico Non calpestare (Gangemi editore 2023), summa dell’ultima produzione di Claudia Peill.  

Keith Haring Deleted

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Nel settembre del 1984, nell’ambito della mostra Arte di frontiera.New York graffiti, allestita presso il Palazzo delle Esposizioni di Roma, Keith Haring realizzò sulla parete laterale dello stesso palazzo un lungo graffito fucsia raffigurante molte delle sue iconografie ormai tipiche: il canide, l’uomo in rivolta, la gioia di vivere. Non fu l’unico intervento in città perché l’artista, qualche giorno dopo, intervenne anche sulle pareti trasparenti del Ponte Pietro Nenni. Di quelle due opere esclusive si sono perse le tracce (una coperta da altre scritte e l’altra cancellata per decoro urbano) ma ci rimangono le prove fotografiche di Stefano Fontebasso De Martino, che saranno al centro di questa esposizione in occasione dei quarant’anni dagli interventi artistici di Haring. In mostra anche oggetti e disegni, mai esposti prima, che all’epoca l’artista realizzò e firmò per il pubblico presente al Palazzo delle Esposizioni, oltre alle tavole originali della grafic novel inedita che Marco Petrella sta realizzando appositamente per la mostra e che ripercorre la storia della presenza di Haring a Roma.

L’arte delle donne a Roma. Secessione, futurismo e ritorno all'ordine

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Mostra di artiste attive a Roma nel corso del NovecentoNonostante un’ampia presenza di artiste attive a Roma nel corso del Novecento, che hanno peraltro esposto alle Biennali, alle Sindacali e alla Quadriennali, oltre che nelle più importanti gallerie romane, solo negli ultimi anni alcuni studi hanno fatto riemergere dall’ombra il loro lavoro. La mostra, partendo da una ricognizione delle opere appartenenti alle collezioni capitoline, intende documentare come, dal movimento futurista, attraverso gli anni del fascismo fino al primo dopoguerra, le pittrici e le scultrici di quegli anni abbiano riletto ed interpretato l’impegno artistico, in particolare nella vita culturale della capitale.

Estetica della deformazione. Protagonisti dell'Espressionismo Italiano

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In mostra una selezione delle opere della collezione Iannaccone di Milano relative alla linea espressionista dell’arte italiana tra gli anni Trenta e Cinquanta - dalla Scuola Romana al gruppo Corrente. Tornare a parlare di estetica dell’Espressionismo italiano è un modo per tornare ad analizzare un linguaggio artistico che si è andato confrontando con il mondo figurativo degli anni fra le due guerre.Con lo sguardo rivolto ai movimenti espressionisti internazionali, i protagonisti del nostro paese hanno rappresentato la realtà oggettiva vista attraverso la loro coscienza soggettiva, con in primo piano l'anima deformante dell'artista in crisi che si riverbera nella deformazione data dalla pittura stessa. In mostra una selezione delle opere della collezione Iannaccone di Milano relative alla linea espressionista dell’arte italiana tra gli anni Trenta e Cinquanta - dalla Scuola Romana al gruppo Corrente - in dialogo in un suggestivo e stimolante dialogo con i dipinti e le sculture conservate nelle collezioni della Galleria d’arte moderna.Fra gli artisti presenti: Afro, Renato Birolli, Primo Conti, Giuseppe Capogrossi, Felice Casorati, Bruno Cassinari, Ferruccio Ferrazzi, Achille Funi, Renato Guttuso, Carlo Levi, Mario Mafai, Marino Mazzacurati, Ennio Morlotti, Emilio Notte, Fausto Pirandello, Ottone Rosai, Antonietta Raphaël, Aligi Sassu, Scipione, Luigi Spazzapan, Ernesto Treccani, Giulio Turcato, Emilio Vedova, Alberto Ziveri ed altri

Dino Ignani

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Con il progetto "Dark portraits" by Dino Ignani, presentato al PAC – PIANO PER L’ARTE CONTEMPORANEA 2022 – 2023 promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, la Sovrintendenza Capitolina ha ottenuto il finanziamento per l’acquisizione e produzione di opere d’arte contemporanea destinate al patrimonio pubblico italiano. Il risultato si potrà ammirare al Museo di Roma in Trastevere, dove il nucleo acquisito con le 200 fotografie circa di Ignani, racconteranno al pubblico le peculiarità della sua ricerca fotografica, concentrata prevalentemente sulla cultura degli anni Ottanta, sulla moda e sul look dell’epoca. Lo sguardo del fotografo ha prodotto un ciclo di ritratti dedicato ai giovani che a Roma animavano i club della cosiddetta scena dark che Ignani ha documentato puntando sul classico ritratto posato in bianco e nero.

Ligabue. I misteri di una mente

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Con l’esposizione “Ligabue. I misteri di una mente” ci si intende rivolgere al grande pubblico per offrire una nuova lettura del lavoro di Antonio Ligabue utilizzando la lente della psicologia dell’arte per dare un quadro complessivo più aggiornato dell’artista e della sua Opera.In particolare, si vuole liberare l’artista dalle molte etichette che nel tempo gli sono state affibbiate – siano esse quelle di Naïf, Brut o Outsider – per analizzare la sua produzione alla luce del dato biografico, e mostrare a pieno l’unicum che Ligabuerappresenta all’interno della Storia dell’Arte.Per dare a Ligabue la giusta collocazione come artista dobbiamo prima di tutto chiederci perché è impreciso considerarlo un artista Naïf o Brut. Ligabue come uomo era senz’altro un ingenuo, non possedeva un particolare spessore culturale e aveva accentuate difficoltà cognitive. Come artista invece non si può negare che fosse preparato e che la sua opera fosse potente, originale, di grande forza espressiva e certamente non naïf. Anche se in alcune opere, soprattutto del primo periodo, si trovano certamente elementi caratteristici dell’arte cosiddetta Naïf, Ligabue sembra far sua una eredità culturale per mezzo della quale assorbe e assimila modelli degli artisti che lo hanno preceduto.La categorizzazione Naïf, come è noto, ha finito per etichettare un genere pittorico e una maniera di intendere l’arte che oggi possiamo definire riduttiva e dispregiativa. In realtà, nel suo significato originario il termine può venire utilizzato per catalogare gli artisti considerati non regolari, a volte più per la loro personalità che per le loro opere, e per questo potremmo essere tentati di ascrivere Ligabue a questa corrente. Ma Ligabue era sicuramente dotato di quella che viene definita “ragione dell’arte”, e per quanto la sua formazione fosse empirica e chiaramente non colta, ha continuato a nutrire la sua sensibilità espressiva nutrendola di sollecitazioni durante tutta la sua vita artistica.Lo strumento della psicologia dell’arte ci può venire in soccorso per analizzare in maniera più compiuta l’Opera di Ligabue: la mancanza di sovrastrutture estetiche e ideologiche nell’artista – che rischierebbero di complicare e offuscare l’accessibilità acerti meccanismi psichici – fornisce come una lente di ingrandimento per indagare i suoi processi creativi in maniera più diretta (il rapporto di Ligabue con l’autoritratto è particolarmente significativo da questo punto di vista).I lavori di tanti artisti irregolari, proprio perché incontaminati dai modelli della cultura dominante, sono esempi di arte autentica, non edulcorata. È questo anche il caso di Dubuffet e dell’Art Brut, a cui in passato è stato associato anche il lavoro Ligabue. La definizione di Art Brut è però molto connotata, e dal punto di vista critico è legata ad un particolare gruppo di artisti e alla loro poetica. Ma Ligabue, come altri artisti non regolari, non appartiene a quel contesto, anche solo per ragioni geografiche.Analizzando la biografia di Ligabue accanto all’evoluzione di stilistica del suo lavoro sarà quindi possibile avere un’immagine più tridimensionale e onesta dell’artista.La mostra segue un percorso cronologico in cui le diverse tecniche sono commiste. Ligabue era infatti un artista nel senso classico del termine, quasi rinascimentale, e si esprimeva attraverso i medium più diversi, non privilegiandone uno in particolare. Particolare attenzione è data in mostra all’autoritratto, strumento utilizzatissimo dall’artista: per Ligabue gli autoritratti sono delle sperimentazioni atte a mostrare l’evoluzione della ricerca e la sua identità di pittore e uomo.Il cuore della mostra è formato dalle 64 opere che compongo un importante unica collezione privata italiana (8 olii, 30 sculture, 3 disegni, 21 puntesecche) esposta per la prima volta in assoluto nella sua interezza. La possibilità di analizzare il lavoro di Ligabue attraverso una delle collezioni più nutrite che conservano le sue opere ci permette uno sguardo inedito sull’artista: quello di chi per primo ha visto in lui la scintilla del genio e la fragilità dell’individuo. Altri prestiti provengono da diverse collezioni private italiane.

Titina Maselli nel centenario della nascita

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In mostra materiali inediti per una rilettura della figura di Titina Maselli. Attraverso materiali inediti in corso di catalogazione da parte degli Archivi del Novecento la mostra propone, in occasione dell’anniversario del centenario dalla nascita, una rilettura della figura di Titina Maselli e della sua formazione, negli scambi con l’ambiente culturale e familiare. Oltre ai dipinti saranno esposti anche i lavori per il teatro come scenografa, poco conosciuti al pubblico. L’esposizione monografica sarà realizzata in parallelo a una seconda esposizione presso il MLAC (Museo Laboratorio di Arte Contemporanea della Sapienza) e in collaborazione con lo stesso Museo che ospiterà un convegno dedicato all’artista romana.

Roma pittrice. Le artiste a Roma tra il XVI e XIX secolo

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La mostra si focalizza sulle artiste donne che lavorarono a Roma a partire dal XVI secolo, con un percorso che giunge fino al 1800 e alle nuove modalità di progressivo accesso alla formazione che lentamente si impongono in accordo con il panorama europeo. Partendo da nomi più noti come Lavinia Fontana e Artemisia Gentileschi, ma anche Elisabeth Vigée Lebrun e Angelika Kauffmann, l'esposizione è un'occasione per far conoscere al pubblico numerose opere del XVIII e XIX secolo attualmente conservate nei depositi del Museo di Roma.

Maria Barosso

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Il progetto espositivo è dedicato a Maria Barosso (1879-1960) e al suo rapporto con la città di Roma. L’artista si configura come una delle personalità più attive del Ministero della Pubblica Istruzione nel ruolo delle Antichità e Belle Arti, quale autrice principale di riproduzioni a colori di opere, scavi e monumenti, in un momento storico di cambiamenti cruciali per la città di Roma. Collabora infatti alla documentazione all'acquerello di importanti cantieri della Soprintendenza ai monumenti di Roma e del Lazio, unica artista donna ad essere ammessa al ruolo. Benché oggi poco ricordata, Maria Barosso fu ricercata per le sue particolari doti che uniscono restituzione filologica e interpretazione artistica. La mostra è dunque la prima monografica a lei dedicata, grazie anche ad un importante nucleo di opere conservate presso il Museo di Roma cui si aggiungeranno dipinti da collezioni private e altre importanti istituzioni.

LAUDATO SIE! Natura e scienza. L’eredità culturale di frate Francesco

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Attraverso l’esposizione di 93 volumi rari, tra manoscritti e libri antichi, la mostra offre ai visitatori l’occasione per entrare in contatto con le diverse dimensioni del Creato, visto dalla speciale angolatura francescana. Il progetto espositivo si pone quale momento di conoscenza e riflessione sugli sviluppi del pensiero scientifico francescano partendo dall’intuizione poetico – mistica del Cantico di Frate Sole, per poi soffermarsi brevemente sulla sintesi filosofico-teologica dei primi pensatori francescani sul tema della natura, ed infine focalizzandosi sulla maniera in cui le singole scienze hanno nei secoli osservato il creato e su come i Francescani abbiano favorito questo sguardo. La mostra prevede un ampio ricorso al linguaggio multimediale, ricorrendo in particolare a due ambienti immersivi dedicati rispettivamente l’uno al Cantico di Frate Sole, l’altro, intitolato Cum tucte le tue creature, alle piante, animali e uomini in cui, dopo aver presentato gli sviluppi delle scienze nel corso dei secoli, ci si riconnette idealmente agli inizi per abbracciare una visione “integrale” del creato.

Sandro Visca

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Mostra dedicata all'artista Sandro Visca. Le sale espositive del Museo C. Bilotti nella loro particolarissima articolazione si sono rivelate funzionali per la presentazione della produzione più recente del maestro abruzzese. Pur continuando a definirsi nel discorso poetico interno allo spazio scenico dei Teatrini e con segno nuovissimo nelle Silhouette, Sandro Visca prosegue la sua indagine sulle possibilità della materia. Quanto più la volontà dell'artista si cimenta nel preservare il baluginio di vita emanato dal frammento, più forte si manifesta l'interrogativo sulla fragilità dell'esistente che presiede l'intera selezione di opere che si intende portare in mostra.Con il sostegno della Fondazione Pescarabruzzo / Imago Museum di Pescara.  

Roma Chilometro Zero

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Un lavoro fotografico di ricerca in cui 15 giovani fotografi residenti a Roma documentano la complessità, i cambiamenti e le particolarità della città, realizzando dei “racconti visivi” secondo singoli e specifici progetti assegnati.   Il progetto “Roma Chilometro Zero” rappresenta così un metodo di indagine alternativa, una raccolta di punti di vista differenti, spesso lontani dall’immaginario consueto. Un’occasione di scoperta e riscoperta del territorio; un incontro tra due leggende: la città eterna e la fotografia. A conclusione del progetto le immagini selezionate saranno presentate in una grande mostra riassuntiva e raccolte in un volume edito da Contrasto in contemporanea con l'esposizione, con la donazione di parte delle stampe fotografiche realizzate all’Archivio fotografico del Museo di Roma, affinché possa rimanere documentazione di un nuovo, significativo episodio relativo alla città.Un progetto di Leica Camera Italia in collaborazione con Contrasto.

La Quercia del Tasso. La storia, i personaggi

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Le passeggiate letterarie degli intellettuali, non solo italiani, alla “Quercia del Tasso” che ancora oggi resiste al tempo sul colle Gianicolo dominando il Rione Trastevere. La mostra, come contenitore di storia, offre ai visitatori un’altra occasione per raccontare il suo legame con la città. L’antico albero è stato testimone e memoria tra i tanti, di Torquato Tasso, Leopardi, Stendhal, Strutt e Rossini, per sottolineare l’interesse per gli scorci ameni della Città Eterna. In un suo componimento umoristico, Achille Campanile immortala inoltre un grazioso animaletto che di questo antico tronco avrebbe fatto il suo rifugio.Luogo leggendario e prediletto anche da San Filippo Neri, dove nel XVII secolo gli oratoriani del suo ordine fanno costruire un teatro nella cavea naturale adiacente, oggi figura tra i luoghi del FAI (Fondo Ambiente Italiano).

Franco Fontana. Retrospective

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Prima grande mostra retrospettiva dedicata a Franco Fontana, un progetto espositivo che ripercorre per la prima volta l’intera carriera artistica del fotografo modenese, con opere selezionate dal suo vasto archivio. L’esposizione è anche l’occasione per celebrare l’artista e raccontare gli oltre 60 anni della sua attività attraverso una serie di eventi collaterali tra cui, ad esempio, incontri e book signing.

Origini e splendori della collezione Farnese nella Roma del XVI secolo

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La collezione Farnese, massima espressione del collezionismo erudito, sostenuto da papa Paolo III e dai suoi nipoti, comprende dipinti, sculture antiche, bozzetti, disegni, manoscritti. La mostra presenta opere rappresentative del momento di maggior splendore della Collezione, che va dai primi decenni del XVI secolo fino all’inizio del XVII secolo, ed include cento capolavori provenienti principalmente dal Museo Nazionale Archeologico di Napoli, dal Museo di Capodimonte, dalla Biblioteca Nazionale e da altre collezioni pubbliche e private.Un’attenzione particolare è riservata a come le opere erano contestualizzate e presentate nel Palazzo Farnese, e al recupero di opere originariamente presenti nella collezione, nel tempo disperse in collezioni pubbliche o private.Un ulteriore focus riguarda la figura di Paolo III e gli intellettuali che gravitavano intorno alla sua corte.

Saodat Ismailova

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Saodat Ismailova (Tashkent, Uzbekistan, 1981; vive e lavora fra Parigi e Tashkent) è una filmmaker della prima generazione di artisti dell’Asia centrale appartenenti all’era post-sovietica. Con i suoi film e le sue instal­lazioni esplora memorie collettive, pratiche spirituali, rituali e conoscenze ancestrali del­la sua regione d’origine, per affrontare temi come l’eredità culturale, la rappresentazione della donna e la resistenza all’impatto dell’a­zione umana sull’ambiente. I suoi film dilatano la temporalità cinematografica, privilegiando i campi lunghi che richiamano l’estetica del cinema lento, spesso inframmezzati da filma­ti d’archivio e installati all’interno di elementi scultorei tessili mutuati dalla tradizione ver­nacolare. Le sue immagini e i suoi paesaggi sonori creano narrazioni potenti e ipnotiche, che si sviluppano al confine tra cinema, suono e arte visiva. Attingendo alle radici spirituali e intellettuali della sua famiglia, in particolare attraverso la figura della nonna, ai racconti orali e alle credenze animiste, Ismailova in­treccia miti e sogni personali, affrontando temi sociali come l’emancipazione femminile, l’identità e il passato coloniale.La mostra in Pirelli HangarBicocca sarà la prima personale completa della sua opera in un’istituzione italiana, e racchiuderà opere rappresentative di oltre dieci anni di pratica artistica all’interno di un nuovo ambiente spaziale apposi­tamente concepito. Evocando narrazioni e paesaggi diversi, l’artista si confron­terà con un’intricata rete di immagini ed epoche, generando un’atmosfera oni­rica in cui i visitatori sperimenteranno le complesse e stratificate storie dell’Asia Centrale, al crocevia tra culture occidentali e orientali.Ismailova ha esposto presso numerose istituzioni di primo piano, fra cui Eye Filmmuseum, Amsterdam, Le Fresnoy – Studio natio­nal des arts contemporains in collaborazione con il Centre Pom­pidou, Parigi (2023); Center for Contemporary Arts, Tashkent (2019); Ilkhom Theatre, Tashkent (2018); Tromsø Kunstforening (2017).I suoi film e videoinstallazioni sono stati anche presen­tati nell’ambito di mostre collettive internazionali, quali Sharjah Biennial (2023); Biennale di Venezia, documenta, Kassel (2022); Meet Factory, Praga (2021); Para Site, Hong Kong, Rockbund Art Museum, Shanghai (2019); Lunds konsthall, Svezia, Yinchuan Biennale, Cina (2018).Nel 2013 Ismailova è stata fra gli artisti che hanno rappresentato il Padiglione dell’Asia Centrale presso la Biennale di Venezia, mentre nel 2018 la sua performance mu­sicale dal vivo Qyrq Qyz è stata eseguita per la prima volta alla Brooklyn Academy of Music di New York.Le sue opere hanno ri­cevuto numerosi riconoscimenti anche in ambito cinematografi­co, e sono state proiettate in occasione di festival quali Berlinale International Film Festival (2014), Rotterdam International Film Festival (2005), e altri.Ha ricevuto numerosi premi istituzionali, fra cui Art&Film Prize, Amsterdam (2022); Documenta Madrid (2018); Golden Alham­bra Award, Granada Cines del Sur Film Festival, Tashkent In­ternational Biennale of Contemporary Art (2014); Torino Inter­national Film Festival per Migliore Documentario (2004).Nel 2021 ha fondato il gruppo di ricerca Davra, dedicato allo studio, alla documentazione e alla divulgazione della cultura e del sape­re centroasiatici.

Jean Tinguely

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Jean Tinguely (Friburgo, 1925 – Berna 1991) è considerato uno dei grandi artisti pionieri del XX secolo che hanno rivoluzionato il concetto stesso di opera d’arte, e uno dei maggiori espo­nenti dell’arte cinetica. Al centro del suo lavoro vi è la ricerca attorno alla macchina con il suo funzionamento e movimento, i suoi rumori e suoni e la sua poesia intrinseca. Tinguely è tra i primi artisti ad utilizzare oggetti di scarto, in­granaggi e altri materiali che poi salda, creando macchine rumorose e cacofoniche funzionanti dotate di veri e propri motori. Le sue sculture presentano inoltre un carattere performativo grazie al loro costante movimento e alla loro peculiarità di coinvolgere il pubblico. L’ingra­naggio, e in particolare la ruota, sono spesso gli elementi fondanti delle sue opere, i cui fun­zionamenti tradizionali sono volontariamente sgretolati dall’artista, che libera la macchina dalla tirannia dell’utilità, favorendo l’imprevisto e l’effimero all’interno dei suoi marchingegni assurdi e apparentemente esilaranti.La mostra in Pirelli HangarBicocca sarà la più estesa retrospettiva realizzata in Ita­lia dopo la scomparsa dell’artista, e includerà più di trenta opere seminali dagli anni cinquanta agli anni ottanta, che occuperanno la quasi totalità dei 5.000 metri qua­drati delle Navate. L’ultimo grande tributo a Jean Tinguely in un’istituzione italiana avvenne infatti nel 1987 con la mostra “Una magia più forte della morte” a Palazzo Grassi, curata da Pontus Hultén. Il nuovo progetto espositivo di Milano avrà uno stretto legame con l’originaria funzione industriale dell’edificio di Pirelli HangarBicocca. La mostra sarà un’occasione per riflettere sull’idea dell’artista di museo e “anti-museo”, ed evocherà al tempo stesso il suo atelier-fabbrica a La Verrerie nel cantone Friburgo: ne risulterà una scenografia sonora e visiva di opere cinetiche monumentali in cui, accanto a cacofoniche macchine, troveranno spazio opere mu­sicali e colorate. Questa retrospettiva sarà anche l’occasione per ricordare il forte rapporto di Jean Tinguely con Milano in particolare, oggetto di alcuni dei suoi pro­getti più ambiziosi come La Vittoria (1970), l’iconica performance in Piazza Duomo. La mostra è realizzata in collaborazione con Museum Tinguely, Basilea.Alcune tra le più importanti istituzioni di rilievo internazionale han­no ospitato sue esposizioni personali, tra cui Kunstpalast, Düsseld­orf (2016); Stedelijk Museum, Amsterdam (2016, 1984, 1973); Cen­tro Cultural Borges, Buenos Aires (2012); Henie Onstad Art Centre, Oslo (2009); Institut Valencià d’Art Modern (2008); Kunst Haus Wien (2008, 1991); Kunsthal Rotterdam (2007); Stadtgalerie Klagenfurt, Klagenfurt am Wörthersee, Austria (2003); Städtische Kunsthalle, Mannheim, Germania (2002); Musée Picasso, Antibes (1999); Museum für Kunst und Geschichte, Friburgo (1991); Central House of the Artist, Mosca (1990); Centre Pompidou, Parigi (1988); Palazzo Grassi, Vene­zia (1987); Louisiana Museum, Humlebaek, Danimarca (1986, 1973, 1961); Museum of Modern art of Shiga, Giappone (1984); Musée Rath, Ginevra (1983); Palais des Beaux-Arts, Bruxelles, Tate Gallery, Londra, Kunsthaus, Zurigo (1982); Wilhelm Lehmbruck Museum, Duisburg, Germania (1978); Kunstmuseum Basel (1976, 1972); Museum of Mo­dern Art, New York, (1975, 1961); Moderna Museet, Stoccolma (1972, 1966); Centre National d’Art Contemporain, Parigi (1971); Museum of Contemporary Art, Chicago (1968); Dayton Art Institute, Ohio (1966); The Museum of Fine Arts, Houston (1965); Kunsthalle, Baden-Baden, Germania (1964).Le opere dell’artista sono state incluse anche in numerose rassegne e mostre collettive, quali Biennale de la sculpture, Yonne, Francia (1991); Biennale Monumenta, Middelheim, Antwerp (1987); Biennale de Paris (1982); documenta, Kassel (1968); Expo — International and Universal Exposition, Montréal (1967); Expo — Exposition Nationale Suisse, Lau­sanne (1964); Biennale di Venezia (1964); Salon de Mai, Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris (1966, 1964).A Jean Tinguely è inoltre dedicato l’intero Museum Tinguely di Basilea, istituzione inaugurata nel 1996 che raccoglie la più grande collezione di opere dell’artista, in larga parte donata da Niki de Saint Phalle.

Federico Barocci Urbino. L’emozione della pittura moderna

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Dal 20 giugno al 6 ottobre Palazzo Ducale accoglierà l’esposizione monografica dedicata a uno dei figli più illustri della città. Arriveranno prestiti eccellenti da alcuni dei principali musei italiani e internazionali. L’appuntamento è a fine primavera: si intitola “Federico Barocci Urbino. L’emozione della pittura moderna” la mostra monografica che per oltre quattro mesi – dal 20 giugno fino al 6 ottobre 2024 - si potrà ammirare nei sontuosi spazi di Palazzo Ducale. Curata da Luigi Gallo (Direttore della Galleria delle Marche) e Anna Maria Ambrosini Massari (Docente di Storia dell’Arte moderna all’Università di Urbino), con Luca Baroni e Giovanni Russo, la mostra porta per la prima volta a Urbino le opere di uno dei suoi figli più illustri: Federico Barocci (1533-1612). Grazie a un insieme di prestiti provenienti da principali musei nazionali e internazionali che arricchiscono la collezione già molto importante della Galleria Nazionale delle Marche, la mostra monografica propone 76 tra dipinti e disegni di Barocci, illustrando tutte le fasi della sua lunga carriera.Ma chi era Federico Barocci?Nato a Urbino tra il 1533 e il 1535 da una famiglia di artisti, già in età adolescenziale mostrava notevoli capacità artistiche e a 20 anni circa ottenne la sua prima commissione, una Santa Margherita per l’oratorio della Compagnia del Corpus Domini, purtroppo oggi perduta. Anche la pala d’altare con Santa Cecilia, oggi nella Cattedrale di Urbino, la dipinse a 20 anni quando decise di trasferirsi a Roma, ospite di uno zio che lavorava per il Cardinale della Rovere che rimase colpito dalla bravura del giovane Barocci a tal punto da commissionargli diversi lavori. Tra il 1557 e il 1560 l’Artista tornò a Urbino, e poi di nuovo a Roma per per decorare il casino di Papa Pio IV nei Giardini Vaticani. Di lì a poco Barocci fu colpito da una malattia che lo avrebbe tormentato per tutta la vita: qualcuno disse che era stato avvelenato da colleghi gelosi, ma ciò lo costrinse a tornare a Urbino e a non allontanarsi più dalla città se non per brevissimi periodi. Questa sorta di emarginazione, e la malattia che lo costringeva a lavorare per poche ore al giorno, tuttavia non fermarono la sua carriera, poiché nonostante una salute cagionevole, gli giungevano le commissioni per la realizzazione di tante opere oggi in larga parte conservate nelle sale della Galleria Nazionale delle Marche e in tanti altri musei italiani e internazionali. Nel 1570 ricevette la prima commissione ducale (ovvero il Riposo della fuga in Egitto  che oggi si trova nella Pinacoteca Vaticana di Roma) per il duca Guidobaldo. Trascorsero due anni e Barocci fu incaricato di ritrarre il giovane principe Francesco Maria per celebrarne il ritorno dalla battaglia di Lepanto: questo incontro diede origine a un rapporto sia professionale sia personale tra l’Artista e Francesco Maria, che proseguì per il resto della loro vita. Come attestato dallo stesso Duca d’Urbino, malgrado le sue incerte condizioni fisiche, le capacità di Barocci non vennero mai meno: era lento nel lavorare, ma ciò era dovuto anche al metodo di lavoro molto complicato, che comportava centinaia di disegni e studi preparatori oltre ad una complessa tecnica di verniciatura. Le condizioni di salute di Barocci non si rifletterono mai sulle sue opere – dove sono evidenti i colori lieti, le immagini serene, devote, ottimistiche -, anche se malinconia e irascibilità venivano spesso rammentate nei rapporti epistolari con il duca Francesco Maria, il quale convinse Barocci ad andare a vivere a Palazzo Ducale, come scrisse il biografo Giovan Pietro Bellori sulle pagine de Le vite dei pittori, scultori e architetti moderni nel 1672. Ciò avvenne per un breve periodo poiché il suo carattere e la sua necessità di solitudine gli resero la permanenza insopportabile; perciò se ne tornò via. Federico Barocci morì a Urbino il 30 settembre 1612.La sua attività artistica coincide col periodo del “Manierismo” – con figure piene di vigore – così come la rappresentazione del suo misticismo si stacca dall’ortodossa narrazione biblica per finire inserita in un contesto più personale; ciò nonostante Barocci guardò con attenzione all'Alto Rinascimento, alle teorie sul colore di Leonardo, alle concezioni pittoriche del Correggio; attraverso queste ispirazioni si costruì uno stile indipendente, contribuendo ad aprire la strada allo sviluppo del Barocco.Alle sue magnifiche pale d'altare conservate a Roma avrebbero guardato sia Rubens, quando si trovò a lavorare nella decorazione della Chiesa di Santa Maria in Vallicella, sia il giovane Bernini, che nelle figure emozionate di Enea e Anchise e nelle sue estatiche sante riprese alcuni caratteri peculiari di Barocci.Inaugurazione: 20.06.2024 ore 11

Premio italiano di Architettura 2024

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Il Premio è un progetto promosso e realizzato in collaborazione da MAXXI e Triennale Milano. In linea con il costante impegno di entrambe le istituzioni nella valorizzazione della qualità architettonica del nostro paese, il Premio – con cadenza annuale – si svolge ad anni alterni presso i due soggetti promotori e prevede anche una mostra dedicata ai progetti premiati.Tre i riconoscimenti assegnati: al miglior intervento realizzato da architetti italiani o attivi in Italia nei tre anni precedenti, al miglior giovane progettista (conferito ad anni alterni al vincitore del programma NXT del MAXXI, e del Premio TYoung Claudio De Albertis di Triennale Milano), e un riconoscimento alla carriera.

La visione astratta. Esperienza fisica del pensare astratto

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Una grande mostra interdisciplinare, curata e progettata appositamente per il MAXXI dall’architetto Italo Rota. Un viaggio negli angoli inesplorati della mente umana e nelle sue potenzialità, alla scoperta del pensiero astratto. Un’indagine che parte dall’avventura architettonica di Giuseppe Terragni e si estende ai suoi contemporanei Enrico Fermi e Giuseppe Tucci.

Giovanni Anselmo. Oltre l'orizzonte

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Frutto di una prestigiosa collaborazione, la mostra è un focus completo sulla ricerca artistica di Giovanni Anselmo. Organizzata dal Guggenheim Museum Bilbao in collaborazione con il MAXXI, la mostra prosegue la ricerca avviata dalla sua curatrice Gloria Moure mettendo in luce l’unicità dell’arte di Anselmo e il suo fondamentale impatto nello sviluppo del movimento dell’Arte Povera.

Mario Testino. A Beautiful World

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"Fin dall'inizio di questo progetto ho sentito di doverlo chiamare A Beautiful Worldperché stavo scoprendo nuovi tipi di bellezza in luoghi che non avevo mai guardato prima…”Mario TestinoDal prossimo 25 maggio a Palazzo Bonaparte di Roma, Arthemisia presenta in anteprima assoluta “A Beautiful World”, il nuovo progetto ideato da Mario Testino, uno dei più celebri fotografi contemporanei a livello internazionale.Nato in Perù nel 1954 con origini irlandesi e italiane, Mario Testino si trasferisce a Londra nel 1976 dove inizia a farsi un nome e a diventare uno dei fotografi di moda e ritrattisti più innovativi della sua generazione e le sue fotografie appaiono sulle principali riviste di moda del mondo. Punto di riferimento di altissimo rilievo nell'arte della moda, le sue immagini sono spesso diventate leggendarie come le persone che ha fotografato, da Kate Moss a Madonna, da Naomi Campbell a Diana Principessa del Galles e molte altre ancora.Terence Pepper, curatore della fotografia alla National Portrait Gallery di Londra, lo ha definito il "John Singer Sargent dei nostri tempi", mentre il direttore della galleria, Charles Saumarez Smith, parlando della retrospettiva da record "Mario Testino PORTRAITS" del 2002, ha sottolineato il rapporto forte tra l’opera di Testino e la tradizione dei ritrattisti di corte, da Holbein a Reynolds, da Goya a Rubens.Negli ultimi sette anni, la sua ricerca di nuovi soggetti oltre i confini del mondo della moda ha portato la sua attenzione su un nuovo percorso creativo, in cui ha trovato ispirazione nelle identità culturali dei paesi in cui aveva cominciato ad ambientare i suoi servizi di moda già dal 2007.Dal 2017 ha attraversato più di 30 paesi, concentrando la sua arte sull'esplorazione dell'unicità culturale e tradizionale che ancora si trova in un mondo rapidamente globalizzato."A Beautiful World" è la navigazione straordinariamente magica e sfumata di Testino tra le complessità e i contrasti dei nostri molteplici modi di appartenere: individualità e conformismo, comunità, rituali, idee del sé, simboli e sistemi di credenze."Nei miei viaggi mi sono reso conto che quando un paese perde il legame tra la sua storia e il suo abito tradizionale, qualcosa di veramente prezioso è andato perduto"Mario TestinoLa mostra è prodotta e organizzata da Arthemisia in collaborazione con Domus Artium e vede come sponsor Uzbekistan Art and Culture Development Foundation, Art Partner e Generali Valore Cultura, media partner Urban Vision e mobility partner Frecciarossa Treno Ufficiale e Atac.

Vincent Peters. Timeless Time

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Dopo il grande successo riscosso a Palazzo Reale di Milano e a Palazzo Albergati di Bologna, il prossimo 16 maggio arriva a Palazzo Bonaparte di Roma una delle mostre fotografiche più visitate dell’anno: “Timeless Time” è un viaggio tra gli scatti iconici e senza tempo del fotografo Vincent Peters che, fino al 25 agosto 2024, presenta una selezione di lavori in bianco e nero in cui la luce è protagonista nel definire le emozioni e raccontare le storie dei soggetti ritratti e della loro intima capacità di riflettere la bellezza.Christian Bale, Monica Bellucci, Vincent Cassel, Laetitia Casta, Penelope Cruz, Cameron Diaz, Angelina Jolie, Gwyneth Paltrow, David Beckham, Scarlett Johansson, Milla Jovovich, John Malkovich, Charlize Theron, Emma Watson e Greta Ferro sono solo alcuni dei personaggi famosi i cui ritratti sono esposti a Palazzo Albergati.Scatti realizzati tra il 2001 e il 2021 da Vincent Peters che, usando un’illuminazione impeccabile, eleva i suoi soggetti a una posizione che spesso trascende il loro status di celebrità.Se è vero che la moda deve parte del suo fascino alla fugacità, al suo passare di moda, Vincent Peters cerca di forzare questo automatismo creando fotografie che escono dal tempo.La mostra a Palazzo Bonaparte cerca di raccontare questo filo rosso, lo sguardo umanistico di un fotografo che ha fatto sua tutta la nostra tradizione occidentale ed italiana. Ritratti di donne e uomini, personaggi noti, frammenti di una storia che dura oltre lo scatto fotografico, come fosse un film. Classici e moderni, angelici e torbidi come le madonne ed i signori ritratti dai pittori. Visioni iconiche, in bianco e nero, senza tempo. Fotografie che, come le opere d’arte della città eterna, non esauriscono ciò che hanno da dirci e durano per sempre.La mostra è prodotta e organizzata da Arthemisia in collaborazione con Nobile Agency ed è curata da Maria Vittoria Baravelli.La mostra vede come main sponsor Credem Euromobiliare Private Banking, come sponsor Mercedes-Benz Italia e Cantine Ferrari Trento, mobility partner Frecciarossa Treno Ufficiale e hospitality partner Hotel Eden - Dorchester Collection.Vincent Peters nasce a Brema, in Germania, nel 1969 e all’età di vent’anni si trasferisce a New York per lavorare come assistente fotografo. Tornato in Europa nel 1995, ha lavorato per diverse gallerie d'arte e su progetti personali e nel 1999 ha iniziato la sua carriera presso l'agenzia di Giovanni Testino come fotografo di moda.Negli anni Vincent Peters si specializza nei ritratti di celebrità, scattando campagne leggendarie per riviste di tutto il mondo, distinguendosi con il suo stile cinematografico.Il suo portfolio comprende lavori per brand come Armani, Celine, Hugo Boss, Adidas, Bottega Veneta, Diesel, Dunhill, Guess, Hermes, Lancome, Louis Vuitton, Miu Miu, Netflix, solo per citarne alcuni. Le sue opere sono state esposte in gallerie d'arte internazionali tra cui, ad esempio, Camera Work a Berlino, Fotografiska a Stoccolma e il prestigioso Art Basel in Svizzera.

BIG - Biennale Internazionale Grafica

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Dal 23 al 26 maggio 2024 a Milano prende il via la prima edizione di BIG, Biennale Internazionale Grafica, festival diffuso dedicato al design della comunicazione e alle culture visive ideato e curato da Francesco Dondina, con il patrocinio di Comune di Milano, Aiap Associazione italiana design della comunicazione visiva, Agi Alliance Graphique Internationale, ADCI Art Directors Club Italiano e AIS Design.Nato dall’esperienza del Milano Graphic Festival 2022, BIG avrà cadenza biennale, un profilo internazionale e un format rinnovato.Tra mostre, installazioni, talk, eventi e progetti sociali a ingresso gratuito, il festival si sviluppa a partire dall’hub principale del Milano Certosa District, polo della manifestazione che dopo MGF conferma ancora una volta la sua attenzione verso il mondo della grafica, e nella sede istituzionale dell’ADI Design Museum diffondendosi in tutta la città in collaborazione con importanti istituzioni culturali e realtà milanesi, dai musei alle gallerie, dalle scuole alle università, fino agli archivi, studi grafici e librerie, e anche fuori dai confini milanesi grazie all’avvio di un’importante partnership con Graphic DaysⓇ Torino. Numerosi anche gli ospiti italiani e internazionali, protagonisti di momenti di approfondimento e ricerca dedicati a professionisti, studenti e appassionati, tra cui: Franco Achilli, Silvana Amato, Luca Barcellona, Jonathan Barnbrook, Francesca Bazzurro, Ruedi Baur, Matteo Bologna, Stefano Cipolla, James Clough, Ben Ditto, Anna Dusi, Andrej Krátky, Matteo Bologna, Andrea Fabrizii, Emilio Fioravanti, Federica Fragapane, Francesco Franchi, Alice Guarnieri, Claude Marzotto, Sergio Menichelli, Armando Milani, Sina Otto – Monotype, Mario Piazza, Massimo Pitis, Nicolas Rouvier, Maia Sambonet, Guido Scarabottolo, Marta Sironi, Carlo Stanga e molti altri.“Perché promuovere un festival dedicato alla grafica e alle culture visive? Prima di tutto perché è necessario divulgare i valori e le pratiche di questa disciplina anche al di fuori dell’ambito strettamente professionale o accademico ma soprattutto perché è importante riflettere e far riflettere sul ruolo e le responsabilità del design della comunicazione di fronte alle urgenze che il mondo contemporaneo ci propone: sostenibilità, inclusione, stabilità sociale,  intelligenza artificiale, multietnicità culturale, emergenza ambientale, migrazioni, difesa delle minoranze. Sono solo alcune delle parole chiave che vorremmo intercettare nel nostro percorso per allargare il nostro campo di interesse. Esiste la pratica del design professionale come servizio ma esiste anche il design etico, il design rivolto al sociale e alla sfera politica, quello che riguarda la collettività. Noi intendiamo il nostro festival come un progetto culturale complesso che deve, almeno negli intenti, affrontare sia la sfera professionale che la sfera sociale”, dichiara il curatore Francesco Dondina. A partire dal Milano Graphic Festival, che nel marzo 2022 ha visto più di 20mila visitatori andare alla scoperta di oltre 80 eventi tra mostre, workshop, proiezioni e incontri, BIG rinnova il suo format – da quest’anno a cadenza biennale e con un profilo internazionale. L’obiettivo è quello di promuovere il design della comunicazione visiva anche e soprattutto al di fuori della cerchia ristretta degli addetti ai lavori, per favorire una corretta percezione della disciplina e del suo ruolo da parte del grande pubblico. Per farlo, BIG affronta una serie di argomenti trasversali che danno vita a occasioni di confronto e dibattito: dalla riqualificazione urbana all’ambiente, dall’identità di genere alla formazione, con un focus particolare sulla città, i giovani e la sostenibilità. La manifestazione intende attivare relazioni virtuose tra cultura del progetto e cultura di impresa e, infine, valorizzare i percorsi di ricerca rivolti alla sfera sociale. Centro nevralgico della manifestazione sarà il Milano Certosa District – distretto caratterizzato da un importante progetto di rigenerazione urbana in essere – e la sede dell’ADI Design Museum – nato attorno alla Collezione storica del Premio Compasso d’Oro. Verranno coinvolti studi grafici, realtà culturali e professionisti del settore in progetti espositivi che riscoprono lavori iconici di designer internazionali di spicco, riutilizzano in maniera creativa i rifiuti del Mar Mediterraneo, uniscono la passione per la musica a quella per la grafica, esplorano il legame tra visual design e business o portano alla luce progetti mai realizzati. Inoltre, il Certosa District ospiterà talk e momenti di ricerca e approfondimento con protagonisti italiani e internazionali come Luca Barcellona, Jonathan Barnbrook, Ben Ditto, Andrea Fabrizii, Luca Giulio Ferreccio, Federica Fragapane, Andrej Krátky, Armando Milani, Patrizia Moschella, Sina Otto - Monotype, Nicolas Rouvier, e molti altri. In programma anche diversi progetti sociali, realizzati in collaborazione con le comunità locali e le istituzioni educative e riabilitative: molti di questi, non a caso, prendono vita negli spazi rigenerati del Milano Certosa District, realtà che nel suo percorso di trasformazione pone particolare attenzione ai valori di inclusione, senso di comunità e servizi alle persone.I progetti sociali di BIG promuovono l’utilizzo dei linguaggi visuali come veicolo di apprendimento e come strumento per l’espressione della soggettività e agiscono negli ambiti dell’identità di quartiere e della scuola dell’infanzia. Inoltre, il palinsesto di BIG si fa spazio nella città metropolitana grazie alla partecipazione attiva di Musei, Fondazioni, Archivi, Scuole e Università, che presentano mostre, installazioni, eventie progetti speciali, e anche librerie come Hoepli, che rappresenterà il polo di riferimento per l’editoria durante il festival. Le studio visit in programma offrono la possibilità di entrare in contatto diretto con realtà affermate del settore. Le giornate di BIG proseguono anche dopo il tramonto con gli eventi serali.Con l’obiettivo di diffondere la cultura del progetto visivo a livello nazionale, per la sua prima edizione BIG stringe una collaborazione virtuosa con il festival Graphic DaysⓇ di Torino (16-26 maggio), grazie a uno scambio reciproco di iniziative e progetti, in particolare con la mostra SIGNS e l’esposizione dedicata alla call Neologia.BIG, inoltre, vede la partecipazione attiva di AIAP, Associazione Italiana del Design della Comunicazione Visiva, per sostenere iniziative orientate alla promozione del design della comunicazione e a valorizzare le eccellenze dell’Associazione, attraverso le mostre di AWDA e AIAP Community, in programma presso l’hub di Certosa District. Inoltre, in occasione di BIG, Hoepli lancia una call rivolta a graphic designer under 30 per avviare una nuova collaborazione editoriale. Si tratta della seconda edizione dell'Hoepli Graphic Contest, che nella sua prima edizione ha visto tre vincitori per altrettante collaborazioni.  Una giuria composta da Fabrizio Falcone (Type designer), Laura Gorini (editor Hoepli), Claude Marzotto e Maia Sambonet (studio òbelo) valuterà le candidature pervenute e selezionerà un vincitore o una vincitrice per progettare un nuovo manuale del catalogo Hoepli con l'obiettivo di innovare l'approccio progettuale mantenendosi fedeli allo spirito fondativo della casa editrice, da sempre impegnata nella pubblicazione di testi per la formazione personale e professionale.  

NXT - Grazzini Tonazzini Colombo. Quintessenza

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Una nuova installazione, da vivere e da scoprire nella piazza del Museo, vincitrice del programma dedicato alla nuova generazione di architetti. Quintessenza è il progetto del gruppo Grazzini Tonazzini Colombo, vincitore della nuova edizione di NXT, il programma del MAXXI dedicato alla promozione di una nuova generazione di architetti e alla valorizzazione dello spazio pubblico.Concepita come un volume astratto dalla forte plasticità, Quintessenza è una sequenza di piani verticali in lamiera zincata, una scenografia, un dispositivo cangiante e riflettente attraverso sorprendenti giochi d’acqua. Un luogo destinato ad accogliere l’Estate al MAXXI ma anche uno spazio di relax, gioco e apprendimento durante la visita e la permanenza negli spazi esterni. I toni argentati del rivestimento, da un lato richiamano quelli del cemento e dei pilastri della struttura di Zaha Hadid e, dall’altro, sono una citazione della storia industriale della piazza che lo ospita. La scelta di materiali, che provengono da un uso precedente o che sono destinati a un riuso successivo allo smontaggio dell’installazione, costituisce un modo per minimizzare l’impatto ecologico dell’intero intervento.

Impression, Morisot

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15 aprile 1874. 150 anni fa a Parigi nasceva l’impressionismo. Un terremoto nella storia dell’arte. Rifiutati dal Salon ufficiale che riuniva artisti legati all’Académie des Beaux-Arts della capitale francese, 30 giovani pittori si riuniscono nello studio del fotografo Felix Nadar, dove espongono 63 opere. Tra i giovani dissidenti Edgar Degas, Paul Cézanne, Pierre Auguste Renoir, Camille Pissarro, Alfred Sisley, Claude Monet. E una sola pittrice: Berthe Morisot (1841-1895). Insieme daranno vita al movimento impressionista, termine nato da quella che voleva essere la stoccata di un critico, che giudicava incompleto e impreciso il loro modo di dipingere. "Impression, Morisot" sarà la prima grande mostra in Italia sulla figura di Berthe Morisot, pittrice della luce, allestita a Palazzo Ducale di Genova dall'11 ottobre 2024 al 23 febbraio 2025 negli spazi storici e sontuosi dell’Appartamento del Doge, organizzata in collaborazione con il Museo di Belle Arti di Nizza.   Questo evento, che riserva alcune novità scientifiche correlate ai soggiorni sulla Riviera e all'influenza sulla sua opera, rientra nelle celebrazioni ufficiali del 150o anniversario dell'impressionismo ed è inclusa nella stagione commemorativa avviata dal Museo d'Orsay di Parigi, il cui direttore firmerà un testo in catalogo.   Attraverso più di 80 opere, documenti fotografici e d'archivio l'esposizione ripercorrerà, toccando aspetti inediti, l'intera carriera e vita privata dell'artista, che ha condiviso il suo percorso intimo, familiare e professionale non solo con i più grandi artisti dell'epoca, ma anche con figure di intellettuali quali Stéphane Mallarmé ed Emile Zola.La curatrice della mostra è Marianne Mathieu, tra le più rinomate esperte dell'opera di Berthe Morisot e studiosa della storia dell'impressionismo, protagonista di molte scoperte scientifiche in questo ambito, la quale cura anche la mostra di Nizza: Berthe Morisot. Escales impressionistes.La mostra è un progetto di Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura con Electa, anche editore del catalogo di entrambe le mostre dedicate a Berthe Morisot, ed è sostenuta dalla Regione Liguria e dal Comune di Genova.  

Jacques Henri Lartigue – André Kertész. La grande fotografia del Novecento

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Jacques Henri Lartigue (1894 – 1986) e André Kertész (1894 – 1985) sono nati lo stesso anno a cavallo tra il XIX e XX secolo. Avrebbero potuto conoscersi a Parigi tra le due guerre, ma il loro primo incontro non avvenne prima del 1972, a New York. Hanno esposto al MoMA rispettivamente nel 1963 e nel 1964, dove sono stati descritti come un dilettante primitivo l’uno e come “l’inventore del fotogiornalismo”, l’altro. Entrambi pionieri della fotografia moderna, hanno lasciato opere con un’estetica singolare. Queste mostre sono state un momento cruciale che hanno segnato per Lartigue l’inizio del riconoscimento internazionale e istituzionale e per Kertész la riscoperta, dopo due decenni più silenziosi. Le due mostre hanno inoltre contribuito ad affermare lo stile dei due fotografi nella prima metà del XX secolo, identificandoli come precursori di una modernità visuale. Lartigue è considerato un maestro dell’istantanea, Kertész un maestro della fotografia riflessiva. Lartigue e Kertész non hanno mai intrapreso il percorso più facile verso il riconoscimento. Hanno costruito le loro opere con la massima libertà, lontano dai grandi movimenti artistici. A partire dagli anni ’70, queste due personalità indipendenti venivano considerate come modelli senza scuola. Mettere in parallelo le loro fotografie, permette di mostrare sia le loro convergenze che le loro divergenze di vita e di punti di vista. La mostra curata da Marion Perceval e Matthieu Rivallin, è promossa dal Comune di Riccione e organizzata da Civita Mostre e Musei in collaborazione con diChroma photography e Rjma Progetti Culturali.